Il 2 giugno è una solenne ricorrenza per i cittadini italiani e anche per me, in quanto tale, ma il mio cuore da nuotatrice – in cui il tricolore è quello sventolato dopo i 200 stile libero di Federica Pellegrini – mi impedisce di gioire a dovere. Se si considera il 2 giugno del 2021, alla Festa della Repubblica si sovrappone una celebrazione che non avrei mai pensato di festeggiare, e mai avrei voluto.


Oggi sono esattamente 212 giorni che non nuoto.

Ironico, dato che praticamente un anno fa, il 3 giugno 2020 – è incredibile come la mente imprima nella memoria certe informazioni all’apparenza così insignificanti – mettevo piede in piscina dopo lo stacco dovuto alla prima quarantena… Ironico come una squalifica dopo una gara da 1500.

Già allora tre mesi erano sembrati tantissimi, nonostante l’attesa fosse stata attutita dalla surrealtà del periodo. Riprendere dopo lo stop è stato come una boccata d’aria fresca, sebbene nel nostro sport meno si respira e meglio è.

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Il secondo atto inizia uno degli ultimi giorni di Ottobre del 2020. Le voci sul nuovo DPCM raggiungono lo spogliatoio, surclassando perfino il pettegolezzo da doccia.

“Ci vedremo la settimana prossima, se Conte vuole” ricordo di aver detto al mio fidato compagno di corsia.

Ma Conte non volle, ed ora eccoci qui.

Questa volta, mi piacerebbe che la penna che sta scrivendo questo pezzo si mostri ai lettori in maniera più intima, abbandonando il linguaggio giornalistico e scientifico con il quale mi avete conosciuto, lasciando che queste parole diano conforto come una virtuale e simbolica pacca sulla spalla.

Più di 200 giorni, più di 7 mesi, più di mezzo anno. Dopo dieci anni di agonismo, non ho mai dovuto affrontare un periodo di tempo così lontana dall’acqua. Nemmeno da Esordiente B, e nemmeno durante il periodo di scuola nuoto, perché il richiamo dell’acqua era talmente forte da pensare prima al back to pool che al back to school.

Adesso però io, come suppongo tanti altri amanti del nuoto, sto vivendo nel limbo di chi non è né agonista né master, a cui è stato negato l’accesso agli impianti poiché sprovvisto di tesseramento.

È un limbo in cui è complesso capire cosa si prova. È stato entusiasmante tornare ad assistere a competizioni internazionali, sì, dico chiedendomi quando sarebbe stato anche il mio momento di scendere in acqua, ammirando le bracciate sinuose pennellate dagli atleti professionisti. Sono contenta per i miei ex-compagni di squadra che continuano ad allenarsi, sì, penso con una stretta al cuore e il sorriso amaro a ogni loro storia instagram postata in piscina.

E per 200 e più giorni non ho fatto altro che ripetermi che esistono problemi più gravi al mondo. Vergognarmi, quasi, a leggere di dati epidemiologici poco rassicuranti mentre mi crucciavo sul non poter più nuotare. Sentirmi ridicola al cospetto del tremendo disastro economico a cui fanno fronte – e dovranno fare, in futuro – i gestori d’impianto costretti praticamente in ginocchio. Arrabbiarmi perché, come al solito, la considerazione avuta per la riapertura delle piscine ha confermato ancora una volta lo status da sport minore del nuoto.

Eppure, quella parte egoista dentro di me – la stessa che, da agonista, voleva farmi vincere in tutto e raggiungere avidamente i miei obiettivi – non ce la fa a non provare disagio, a non esternare questo malessere che solo chi è stato separato dalla sua fonte di energia vitale può comprendere. Lacera nel profondo, ho provato a nasconderlo ma talvolta si ingigantisce e si manifesta.

È lo stesso fastidio che si prova quando entra acqua negli occhialini perché il rivestimento in gomma è leggermente spostato; inizialmente è poca e il cloro pizzica appena l’occhio, ma virata dopo virata la lente è sempre più piena, fino a che non ti costringe a fermarti – segue poi il rimprovero del coach.

Ho bisogno di immergermi nuovamente in quell’altra dimensione, che ha come portale d’ingresso la superficie dell’acqua e come parola d’ordine un paio di bracciate.

Per cui mi armo di pazienza e disciplina, rispolverando alcuni degli insegnamenti impartiti dal nuoto. Richiamando l’autocontrollo e stringendo i denti, aspetterò pazientemente nell’attesa che quel 200 diventi 0, un po’ come quando prima di partire si aspetta che la lancetta del cronometro a parete raggiunga il 60.

Sperando che il nostro 60 arrivi presto.

Sofia


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Profilo Autore

Sofia
Sofia
Studentessa di Chimica, nuotatrice agonista, aspirante scrittrice: non necessariamente in quest’ordine. Forse l’unica nuotatrice al mondo che trova divertenti i 200 farfalla, ma le sue gare preferite in assoluto sono i 100 farfalla e i 100 stile. Membro della redazione, il suo compito? Raccontare storie di cloro sul mondo natatorio e le sue dinamiche per affascinare i meno appassionati, per strappare un sorriso dopo la stanchezza di fine allenamento o, semplicemente, per far battere il cuore agli atleti della community e farli innamorare del nuoto come la prima volta.