Lo scorso anno mi è capitato di assistere ad un torneo di tennis. Mica Wimbledon, una cosa di quartiere, l’analogo delle partite di calcio scapoli contro ammogliati. Quando sono arrivata nei pressi del campo durante la partita a cui mi interessava assistere sono stata avvisata che dovevo parlare piano… SSSSSHHHHHH. Sssshhhh? Ma come sssshhhh?

Devono concentrarsi, mi è stato spiegato. “Oh bella, e il tifo?” Ho pensato. Come posso incitare l’uno o l’altro? Sentivo tra una battuta e la successiva qualche sommesso ‘Oh’ ma niente di più. Per me il tifo è parte integrante di una performance: esultare di fronte a un risultato, parziale o definitivo, trasmette l’entusiasmo e quindi energia viva a chi sta disputando la gara o la partita.

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Penso ad esempio al grido “il cielo è azzurro sopra Berlino” che è riecheggiato per settimane, mesi, anni dopo la vittoria della nostra nazionale ai mondiali di calcio del 2006, e a quanta adrenalina restituisse; ma penso anche alle meno note tiratrici con l’arco, viste per caso una domenica durante la scorsa Olimpiade, che mentre si concentravano mi facevano emozionare davanti al teleschermo; consideravo quanta preparazione avevano profuso in quella singola scoccata e mi veniva naturale incitarle pur sapendo che non potevano sentirmi.

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Nel nuoto la concentrazione è garantita dal silenzio invocato dallo starter, unico momento in cui è necessario a far sì che il via sia inequivocabile e non sporcato da rumori. Poi l’acqua ovatta le orecchie dell’atleta che si è tuffato, e chi riceve il tifo non lo sente, o ne coglie una minima parte: che spreco! Il ritmo scandito dagli ‘oh oh’ a rana, i fischi prolungati per invitare il velocista a sostenere gli ultimi metri, i ‘vaiiii’ urlati a squarciagola, magari in coro: che peccato non poter ascoltare queste voci amiche durante lo sforzo.

Così ho iniziato una pratica di trasfusione del tifo, una sorta di banca delle incitazioni e delle urla. Ascolto i cori, meglio ancora quelli delle staffette, gare collettive, concentrati di energia e grinta, e li immagino dedicati a me, per poi riprodurli mentalmente quando ne avverto il bisogno. Io non sento quelli per me, questi sono per qualcuno che non li sente. Sarò passibile di ricettazione?

di Elena Rigon

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UN CORO CHE SA DI CLORO 5
Elena Rigon
Le ho provate tutte (le discipline del nuoto dico) tranne il sincro: sono stata agonista, pallanuotista, ho praticato il salvamento quando in pochi sapevano cosa era il 200 a ostacoli in vasca. Irriducibile continuo da master, quelli che un tempo ritenevo dei simpatici vecchietti. Prediligo lo stile libero e gareggio su distanze corte; evito le acque libere perché temo di sbagliare rotta. Pescatrice di impressioni, scrivo per descrivere: la vita in corsia e fuori, con parole mie. Vivo tra le nebbie padane, ho due figlie. Per condividere i miei pensieri ho creato un piccolo blog "pensieri in patchwork" .

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