Federica si era appena lasciata alle spalle la serranda chiusa del suo negozio e un’intera giornata di lavoro seduta ad una scrivania, con un orecchio attaccato al telefono per ascoltare il cliente che lamentava il ritardo dell’ordine, gli occhi rivolti allo schermo del pc alla ricerca di quell’articolo che mancava, e la mente che pensava all’unica cosa che l’avrebbe fatta stare davvero bene, da lì a poco.


Il sole era ormai tramontato lasciando spazio ad un cielo annuvolato dai colori tristi, ma nel cuore di Federica una splendida giornata estiva stava già esplodendo inesorabile all’orizzonte.

Percorse il tragitto che la separava dalla meta col finestrino abbassato del tutto e il vento che le accarezzava il viso dai lineamenti delicati facendole svolazzare i capelli lisci qua e là, la sua musica preferita riempiva l’abitacolo di note. Lo zainetto con tutto il necessario l’attendeva nel baule già da quel mattino, dopo mesi e mesi abbandonato in uno stanzino al buio, lo afferrò indossandolo al volo mentre si avviava spedita verso la porta scorrevole dell’ingresso, finalmente era giunto il momento più bello della giornata.

Fu avvolta da quell’inconfondibile odore di cloro appena varcata la soglia, le sue narici lo riconobbero subito, inebriante, non lo avevano mai scordato dopo più di un anno di distacco, i neuroni lo abbinavano all’istante ad una sensazione di profondo rilassamento. I muscoli già iniziavano a sciogliersi, le tensioni ad allentarsi, soprattutto quelle sul collo e alla schiena che si portava dietro da tempo ormai, da quando le era stata preclusa la possibilità di poter nuotare. Tutto diventava leggero, anche i pensieri destinati presto a scomparire come la fiamma di una candela che si spegne con un soffio.

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Era sera, la piscina a quell’ora frequentata da pochi, pochissimi utenti, a parte il martedì e il venerdì quando le corsie venivano quasi tutte occupate dai simpatici e chiassosi nuotatori della squadra master.

Federica si sfilò dolcemente l’accappatoio, una ciocca di capelli fuoriusciva dalla cuffietta rossa di cotone, con le dita l’accompagnò dietro l’orecchio. Si avvicinò alla sua solita corsia laterale, quella che godeva del privilegio della scaletta. Immerse le caviglie e un brivido le risalì come un lampo lungo le gambe, poi chiuse gli occhi e fece roteare lentamente la testa, prima in senso orario, poi nel verso opposto. Ora sentiva solo il rumore perenne dell’impianto di ventilazione alle sue spalle e lo scroscio dell’acqua che scorreva nelle canaline come un fiumiciattolo trasparente che sfocia infine nel mare.

Non portava gli occhialini, non li aveva mai indossati sin da bambina, quando la mamma l’aveva accompagnata alla prima lezione di scuola nuoto. Quella volta pianse, poi l’istruttrice l’aveva presa teneramente per mano accompagnandola fino al bordo vasca e presto quella lacrima sul visino si sarebbe dispersa tra le gocce infinite della piscina.

La ragazza che nuotava senza occhialini allora scese ancora più a fondo, si mise seduta sul gradino in alluminio cominciando ad accarezzare la superficie dell’acqua, apriva e chiudeva le braccia come le ali di un gabbiano, con movimenti sempre più ampi, più a fondo, avanti e indietro, finché si tuffò come una bambina fa quando si lancia tra le braccia del papà. Ad attenderla, però, vi erano gli anelli colorati della corsia, a cui si aggrappò con le dita, poi si arrampicò con i gomiti quasi strisciando, distese le gambe e iniziò a batterle piano. Le articolazioni delle caviglie si allungavano, il sangue scorreva più velocemente adesso, risaliva in un vortice e arrivava alle braccia, fino alla punta della dita. Di nuovo chiudeva gli occhi, l’acqua le sfiorava le spalle, e continuava in quei movimenti ritmici, il suo corpo adesso era pronto per cominciare.

Una piccola spinta dal muretto la fece scivolare appena un metro, i piedi non avevano aderito bene alla parete, non importava. Così, cominciò con la sua nuotata a crawl, respirando ogni tre bracciate, non aveva dimenticato nemmeno quei movimenti. Riusciva a vedere sfocata la linea nera sotto la sua pancia, finché non s’interruppe e subito dopo comparve il muretto. Da lì proseguì a dorso, una bracciata alla volta, il bacino affondava leggermente creando con il corpo la forma di un cucchiaio. La ragazza senza occhialini chiuse gli occhi, il cloro le pizzicava le pupille, il suono dell’acqua avvolgeva la sua mente come un delicato abito di seta. Ancora una bracciata nel buio, ancora una, un’altra ancora. Adorava quella sensazione, il non sapere a cosa andasse incontro, un po’ come la vita pensava, non sai mai cosa essa ti riserva.

Adesso fu di nuovo la luce. Il soffitto dalle travi in legno scuro era ornato da faretti bianchi che si susseguivano uno dietro l’altro, poi apparve la corda delle bandierine, ancora qualche bracciata.

Era giunto il momento delle respirazioni, ferma nell’angolino inspirava lentamente dalla bocca, poi s’immergeva fino a toccare il pavimento con la punta dei piedi, si piegava sulle ginocchia e allungava le braccia verso il cielo, gli occhi chiusi per un istante, ancora un attimo, poi risaliva espirando delicatamente. Era come se spruzzasse  dalla bocca tutte quelle maledette sensazioni dalle sfumature grigie che si erano accumulate come fredda cenere nel camino, ma con un soffio andavano subito via del tutto senza lasciar alcuna traccia. E ciò era possibile solo grazie all’acqua, immersa in una vasca enorme, intinta completamente di cloro. Era come se avvolta dall’abbraccio della piscina avvenisse qualcosa di curativo per il corpo e per la mente.

Ancora due vasche, andata crawl, ritorno dorso doppia bracciata, gli occhi chiusi, una, due, tre bracciate nel buio, quattro. Ancora la sensazione di inconscio, come un salto nel vuoto, in bilico sulla scogliera, il mare blu che s’infrange sulle rocce laggiù in basso, la spuma che risale come nebbia l’alta parete. Ancora qualche attimo immersa nel silenzio, ora stava davvero bene, anche il dolorino alla schiena era svanito, e continuava con qualche vasca a rana, lentamente. Non le importava affatto curare la coordinazione dei movimenti, gambata e bracciata erano quasi un tutt’uno. Il flusso dell’acqua le scorreva lungo i fianchi e si mescolava con le altre correnti che giungevano da ogni direzione.

Afferrò la tavoletta, era il momento di fare qualche vasca solo gambe, ma con l’ausilio delle sue pinnette rosa. Si appoggiava a quell’accessorio galleggiante come fosse stato un soffice cuscino su cui far affondare la testa per addormentarsi beatamente.

L’orologio affisso alla parete segnava le 22 in punto, era giunto il momento di tornare a casa per una doccia bollente, e lasciarsi coccolare dai vapori soffici come le nuvole che invadono la stanza, il bagnoschiuma che accarezza la pelle, ora liscia e tonificata.

Con quei capelli castani ancora un po’ umidi lasciava la piscina, l’avrebbe rivista la sera successiva, la stessa che ormai frequentava da quando era bambina e che non aveva mai cambiato, la sua tessera d’iscrizione si rinnovava di anno in anno aggiornandone solo la foto del profilo.

Entrò in auto, appoggiò la testa al sedile lasciandosi andare in un sospiro, poi alzò il mento, la nuca cadde all’indietro sfregando su quel tessuto ruvido. Federica, la ragazza  che nuotava senza occhialini, voleva ancora godere di quei suoni profondi che le fluttuavano come lampi nell’anima, di quei profumi inconfondibili, cibarsi di quelle sensazioni meravigliose che solo il nuotare, e nessun altro gesto al mondo, sa regalarti.


 

Profilo Autore

Stefano Ciollaro
Stefano Ciollaro
Mi chiamo Stefano Ciollaro, sono nato nel 1990 e la mia vita, da sempre, gravita intorno ad un unico elemento, l’acqua: quella salata dei nostri splendidi mari, quella dolce dei laghi, quella che profuma di cloro delle piscine. A tutto ciò si lega indissolubilmente il magnifico mondo del nuoto, che per me rappresenta gioia, armonia, equilibrio.