Il ragazzo con il giubbotto in pelle si era lasciato velocemente alle spalle una curva a gomito e si dirigeva verso l’ingresso del tunnel privo di illuminazione artificiale. Quel canale breve e buio conduceva, senza incontrare alcun ostacolo, dritto nel cuore della collinetta che occultava la vista del paesaggio.
Andrea indossava un casco integrale con il simbolo della sua squadra di nuoto appiccicato lateralmente, con la visiera leggermente rialzata affinché il venticello estivo, che trasportava il profumo della natura verde circostante, gli penetrasse dalle narici fin dentro i polmoni e nella testa.
Avvolto da quella inebriante sensazione di libertà si alzò in piedi come una torre sulla sua motocicletta rossa fiammante, facendosi abbracciare dall’aria morbida che gli batteva contro il petto.
Nel percorrere quell’isolata strada di campagna, accompagnato dal suono dolce dei pistoni che si alternavano su e giù nei cilindri, le lancette dell’orologio sembravano bloccarsi del tutto senza alcuna possibilità di poter continuare nel loro perenne moto circolare.
Il giovane motociclista, con due dita, abbassò la visiera che lasciava scorgere solamente i suoi occhi aggressivi, poi, ruotò leggermente il polso verso il basso. Il rombo potente del motore fece svolazzare via gli uccellini impauriti che dai nidi sugli alberi si dispersero nel cielo tinto di azzurro. Riuscì solo a scorgere per un attimo la carrozzeria cromata dell’auto che, senza alcun preavviso, gli tagliò la strada non lasciandogli alcuna via di scampo. Inutile fu il tentativo di frenata per evitare l’impatto. Andrea giaceva disteso sull’asfalto. Nelle sue narici adesso non regnava più l’essenza di flora incontaminata, ma un acre odore di pneumatici che continuavano a bruciare ed in bocca il sapore inconfondibile ed amaro del sangue. Poi, ci fu il buio.
Andrea, quando riaprì finalmente gli occhi, si accorse subito che davanti a lui non c’erano più nuvole bianche all’orizzonte che passeggiavano beate assumendo insolite forme, intoccabili. Con lo sguardo immerso nel vuoto, se ne stava disteso su una scomoda ed ingiallita branda in ospedale. Un vecchio televisore dalla forma a scatola, uno di quei modelli che non si vedono più sui mobili nelle case moderne, vegliava come un faro di fronte a lui. Dalla finestra penetravano i raggi del sole mattutino creando fasci che tagliavano l’aria come lame. Sul comodino era poggiato il suo smartphone, compariva la voce “13 chiamate senza risposta”, ma non gli andava proprio di parlare con nessuno.
Nella mente di Andrea s’aggrovigliavano mille pensieri. Strinse il pugno, serrò d’istinto le labbra e scaricò la rabbia con violenza sul materasso. Il tonfo risuonò secco nella stanza, ma il sollievo fu solo momentaneo, la realtà non era affatto cambiata. Espirò dal naso, strizzò forte e nervosamente le palpebre, non uscivano più le lacrime, ma solo amara delusione da quegli occhi marroni, profondi, feriti. Il suo ginocchio destro era visibilmente gonfio, pulsava dall’interno come un tamburo, sentiva che qualcosa si era rotto, strappato, lacerato.
Si allungò per afferrare il telecomando ed accese il televisore che per tutto quel tempo era stato solo uno spettatore impassibile di ciò che accadeva. Cambiò canale pigiando freneticamente sul tasto fino ad arrivare a quello che cercava. Dallo schermo quadrato comparvero otto nuotatori che si apprestavano a salire sui blocchi di partenza. Qualcuno distendeva le braccia imitando il movimento della nuotata che di lì a poco avrebbe compiuto in acqua, qualcuno si aggiustava la cuffia, poi ripeteva il gesto ancora una volta. Qualcun altro respirava profondamente rivedendo la gara nella testa. Nel suo animo, invece, si stava combattendo una terribile battaglia tra frustrazione e dolore.
Quella in tv era una delle batterie pronte per la partenza dei 100 metri rana uomini. In corsia numero 4 doveva esserci lui stesso, ma il suo posto vacante l’aveva occupato qualcun altro che portava stampata sulla cuffia i colori della bandiera di un’altra nazione.
“Ancora non conosciamo il motivo per il quale Andrea non si è presentato all’evento più importante della stagione, i campionati mondiali, tra l’altro edizione che quest’anno si disputa proprio nella sua città” commentava il telecronista dalla voce profonda che celava non poco sgomento.
“Voci di bordo vasca affermano che l’atleta ha avuto un incidente in moto rientrando a casa al termine dell’allenamento, ma il suo allenatore ancora non si è espresso a riguardo” aggiunse l’altro collega alla telecronaca.
Il cuore di Andrea batteva all’impazzata, non era certo l’adrenalina prima della gara, ma lo sconforto e la rabbia lo facevano pulsare. Si addossava tutte la colpe per essere salito in moto a pochi giorni dalla gara più importante della sua carriera fino a quel momento. Ed ora aveva paura che non sarebbe mai più tornato ad essere il ranista più forte in Italia nei 100 metri.
Proprio mentre rimuginava su quei pensieri che gli pesavano sullo stomaco come un fardello, una giovane e bellissima infermiera dai capelli biondi apparve sulla soglia della porta. Il suo profumo invase la stanza come una tempesta di fiori. Quegli occhi azzurri come il mare stregarono Andrea all’istante, tanto che il dolore al ginocchio, seppur per un attimo, sparì nel nulla.
“Vedo che ti piace il nuoto” esordì fermandosi al ciglio del letto. Andrea pensò che quello non era proprio l’argomento adatto con cui cominciare la conversazione, ma non poteva saperlo lei. Tutto questo lo faceva star male, la sua mente ritornò immediatamente alle fitte continue.
“Già, a quest’ora sarei dovuto essere lì anch’io, se non fosse che sono un completo idiota ad andarmene in giro in moto prima di un mondiale”.
“E’ inutile darti colpe che non hai, è accaduto e basta. Sarebbe potuto succedere in qualsiasi momento. Ciò che conta è che non ti è accaduto davvero nulla di grave, a parte una brutta ferita, poteva andarti molto peggio” spiegò con voce calma e sicura. Andrea rimase in silenzio ad ascoltare quelle parole.
“Adesso devo proseguire il mio giro” aggiunse dopo aver appuntato alcune cose su un foglio “spero che tu ti riprenda presto” e se ne andò senza aggiungere altro.
“Aspetta, come ti chiami?” il giovane nuotatore cercò di fermarla, ma quei passi leggeri si allontanavano veloci nel corridoio. La ragazza non si era accorta che, nel voltarsi, un fazzoletto di seta rosso con la lettera “N” bianca in rialzo cucita in un angolo le era scivolato via.
Qualche anno dopo l’incidente, Andrea esaminava attraverso la superficie trasparente dell’acqua la lunga cicatrice che gli divideva in verticale il ginocchio. Quel pomeriggio, la serie a stile libero, da svolgere con pochissimi secondi di recupero tra una ripetizione e l’altra, era quasi terminata. Da lì a poco sarebbe cominciata la parte centrale dell’allenamento, la fase più dura. A volte, la ferita rimarginata gli faceva così male nel compiere sforzi prolungati che gridava per il dolore. Il ginocchio si gonfiava come un palloncino, ma l’indomani era già di nuovo a posto. Il suo allenatore ed i compagni di squadra erano abituati ad assistere a quelle scene, raramente gli era capitato persino di abbandonare la seduta di allenamento per farsi curare dal fisioterapista. Nonostante ciò, nei 100 metri rana in vasca lunga riusciva a scendere sotto il minuto con molta sicurezza. Quella specialità sembrava essere stata cucita su di lui come un abito da cerimonia. Tutto era calibrato, ogni bracciata, le fasi subacquee, la partenza, l’arrivo. Andrea visualizzava la gara nella testa in ogni singolo dettaglio, immobile ai piedi del blocco di partenza, suo fedele amico che gli forniva uno slancio fondamentale. Portava con sé sempre il fazzoletto rosso che aveva raccolto dal pavimento polveroso in quella stanza d’ospedale, dove aveva trascorso un travagliato periodo delle sua esistenza, senza più rivedere la ragazza che lo aveva perso, di cui aveva conservato un indelebile ricordo. Prima di ogni gara lo portava alla bocca, lo sfiorava, poteva ancora sentirne il profumo di fiori. Era diventato un vero e proprio rito portafortuna che faceva parte della gara stessa e che doveva
ripetere ad ogni occasione prima di tuffarsi. Non si preoccupava di scaldare i muscoli, di sistemare gli occhialini, come facevano gli altri avversari prima del via, per lui contava solo raccogliere l’energia da quell’oggetto prezioso.
Finalmente, dopo anni di preparazione e sacrificio, Andrea aveva tra le mani la possibilità di partecipare all’Olimpiade e dimostrare a se stesso ed a tutti coloro che credevano in lui, il suo vero valore di atleta.
Le batterie del mattino dei 100 metri rana si erano rivelate relativamente facili da superare. Era bastato nuotare poco sopra il minuto per ottenere un’ottima posizione in semifinale, dove però aveva dovuto forzare un po’ la mano scendendo ancora una volta nella sua carriera sotto il muro del minuto.
Le sensazioni generali erano strabilianti, percepiva bene l’acqua, non vi erano strappi nel movimento della bracciata, le spinte dal muro e dal blocco di partenza erano davvero efficaci, da esse ne conseguivano fasi subacquee lunghe e poderose, che gli permettevano di uscire alla prima bracciata sempre in testa al gruppo.
Era giunto il tanto atteso momento della finale. Dopo il solito rituale prima della partenza con il fazzoletto rosso, aveva poggiato il piede destro sul blocchetto blu subito dopo i fischi del giudice di gara, che invitava gli atleti a prepararsi. Una piccola scossa gli percorse il tratto della cicatrice. “Non ora, ti prego!” esclamò nella testa. Andrea inspirò a fondo cercando di scacciare via il brutto presagio. Il silenzio era calato all’interno della piscina, migliaia di spettatori avevano gli occhi puntati solo su otto atleti, i migliori del pianeta in quella distanza. Ognuno di loro aveva una bandiera diversa stampata sulla cuffia, Italia, Norvegia, Sud Africa, Giappone, Stati Uniti, Australia…
Poi, seguì l’ordine principale del giudice vestito completamente di bianco. “Take your marks!”. Andrea si calò in basso per assumere la posizione della track start, più lentamente rispetto agli altri avversarsi. Poi, portò il suo corpo possente leggermente all’indietro mantenendo sempre la linea delle spalle in corrispondenza del margine del blocco di partenza. Un fischio acuto risuonò tra le pareti della struttura e gli atleti partirono all’istante. La reazione di Andrea fu una delle migliori, ma all’uscita dalla prima fase subacquea era sulla stessa linea del norvegese e del giapponese, dunque attaccò con la sua nuotata potente.
Alla virata, l’unica e decisiva, era in mezzo al gruppo, staccato però solo di qualche decimo di secondo dal norvegese che guidava la finale in testa grazie alla sua nuotata vigorosa.
A venti metri dalla fine, l’americano aveva ormai ceduto il passo e la quinta posizione era stata conquistata da Andrea, che scorgeva la piastra dell’arrivo a strisce gialle e nere ad ogni bracciata, ove si alzava sull’acqua per raccogliere ossigeno nei polmoni.
Un’altra fitta nel ginocchio, questa volta più decisa, ma il suo corpo ormai era un tutt’uno con il fluido ed un’energia invisibile lo avvolgeva nell’avanzare verso la meta. Aveva ormai raggiunto e superato anche il giapponese con la cuffia bianca, era in quarta posizione quando mancavano pochissimi metri. L’ultima gambata.
Andrea si allungò in avanti con uno slancio vigoroso. Tutto era stato deciso in una frazione di secondo. Il pubblico esultava, urlava, sembrava letteralmente impazzito. Si voltò per controllare il risultato sul tabellone dall’altra parte della vasca. Sullo schermo, proprio vicino al suo nome, vi era impresso il numero 3 color bronzo. Un crono che gli era valso il nuovo record italiano. Andrea era il terzo ranista più forte del mondo nei 100 metri rana. Primo il norvegese con 58”71. Era stata senza ombra di dubbio la gara più avvincente della sua vita ed anche quella più sofferta sotto ogni aspetto, fisico ed agonistico. Il ginocchio vibrava come una corda di chitarra, lampi lo attraversavano da parte a parte. Dietro quella medaglia, Andrea sapeva bene cosa si nascondeva, quanto dolore aveva provato, quanto aveva dovuto lottare con ogni cellula del corpo per ottenerla ed alla fine ce l’aveva fatta. Il suo sogno si era realizzato, vincere una medaglia alle Olimpiadi. La sua rivincita contro il destino beffardo se l’era guadagnata con gli artigli e con il cuore.
Dal podio risuonavano le note dell’inno nazionale norvegese che rimbalzavano come foglie accompagnate dal vento sulla superficie dell’acqua della piscina, adesso calma. Tre bandiere diverse erano state calate dall’alto in modo che tutti potessero ammirarle. Il cuore di Andrea batteva forte, con occhi lucidi guardava il pubblico, questi acclamava con gioia gli atleti medagliati.
Dall’altra parte del mondo, l’infermiera dai capelli biondi, per caso, aveva acceso il televisore non appena rincasata dal lavoro. Il telegiornale dava la notizia di Andrea, giovane nuotatore italiano che aveva conquistato la medaglia di bronzo alle Olimpiadi nei 100 metri rana. Il servizio durò pochi secondi, fu mostrata solo una foto dei tre atleti migliori sul podio mentre sfoggiavano sorridenti le medaglie ai fotografi. La ragazza riconobbe all’istante il viso di Andrea, non se lo era mai più tolto dalla testa dal giorno che il destino li aveva fatti incontrare in quella stanza di ospedale. Poi, un dettaglio la colpì più di tutti, strizzò gli occhi per vedere meglio e scorse il suo fazzoletto rosso che non aveva mai più ritrovato. Andrea lo teneva stretto tra le mani, poi lo baciò pensando a lei. La ragazza sorrise, il cuore le batteva forte, nemmeno lei lo aveva dimenticato.
Dedicato a tutti i ranisti
e in particolare a uno formidabile, andato via troppo presto, Alexander Dale Oen
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Stefano Ciollaro è autore del libro Racconti dal bordo vasca: una raccolta di racconti ambientati nel Magnifico mondo del nuoto dedicata a tutti gli appassionati di questo sport.
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Profilo Autore
- Mi chiamo Stefano Ciollaro, sono nato nel 1990 e la mia vita, da sempre, gravita intorno ad un unico elemento, l’acqua: quella salata dei nostri splendidi mari, quella dolce dei laghi, quella che profuma di cloro delle piscine. A tutto ciò si lega indissolubilmente il magnifico mondo del nuoto, che per me rappresenta gioia, armonia, equilibrio.
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