In uno dei libri che ho letto quest’estate (Edoardo Albinati – La scuola cattolica, nemmeno ultimato per la verità) l’autore racconta, nella parte iniziale, del suo percorso scolastico. Nella scuola che frequentava era prevista l’ora di nuoto, per un paio di volte alla settimana.

Ne ha un ricordo brutto, pesante: ricorda il freddo, l’umidità, la cattiva sensazione legata allo svestirsi, un po’ perché rimani scoperto al freddo e un po’ per la scarsa accettazione del proprio fisico in via di sviluppo, paragonato a tutti gli altri fisici in via di sviluppo. Lo riteneva umiliante, si vergognava di rimanere lì, tutti i corpi svestiti ed esposti: chi sfoggiava una cassa toracica segnata da un evidente costato, chi qualche rotolo di ciccia, chi un colorito verdognolo.

Poi la ginnastica pre-natatoria, e poi tutti dentro: dice che sì, era bello distrarsi dalla monotonia dei banchi, ma superato il momento dell’ingresso in acqua e l’euforia degli schizzi, diventava faticosissimo. Faticoso avanzare, faticoso muoversi, faticoso respirare.

Io non ho assolutamente un ricordo così negativo dei miei inizi, anzi non ricordo di aver mai fatto tanta fatica, almeno fino a che non ho iniziato gli allenamenti intensivi. Ricordo sì un’insegnante terribile, di nome Flaminia, che faceva battere le gambe a secco, durante quei minuti della ginnastica pre-natatoria, seduti a terra in appoggio sui gomiti, per un paio di interminabili minuti.

Non so se fosse più duro mantenere gli addominali in tensione o sopportare le scanalature delle mattonelle che si imprimevano sull’avambraccio vicino al gomito. A chi appoggiava le gambe arrivava un urlo da soprano, di ripartire immediatamente. Questa Flaminia non è mai stata la mia insegnante ma sono dovuti trascorrere almeno trent’anni prima che incontrassi un’altra persona che si chiamasse così e che potesse farmi rivalutare completamente il nome, perché secondo la locuzione ‘in nomen omen’ per me Flaminia significava temibile urlatrice.

Ricordo Armando, che seguiva la pre agonistica con molta simpatia: un insegnante che faceva lavorare molto i bambini ma scherzava anche tanto con loro, e infatti io mi ero auto promossa nella sua corsia, senza attendere che mi dicessero ‘tu passi in quel gruppo là’. Armando è tuttora uno dei pilastri portanti nell’organizzazione del nuoto a Vicenza e nel Veneto.

Il valore della sconfitta, in una società dominata dal successo

Avevo un costume intero rosso, che lateralmente portava due fasce, bianca e blu, su entrambi i fianchi. In testa la cuffia di lattice, ogni settimana una diversa perché non riuscivo a tenerne da conto: tempo due volte che la usavi e diventava una palla appiccicosa, e nel tentativo di aprirla si lacerava.

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Invidiavo molto quei bambini che la tiravano fuori dalla sacca tutta imborotalcata, che sembrava sempre nuova. Addirittura ce ne era uno (ma questo non lo invidiavo per nulla) che arrivava da casa in bicicletta, seduto sul sellino dietro a sua mamma, già con la cuffia in testa. Gli occhialini invece, quelli li perdevo, in maniera abbastanza sistematica.

La società in cui ho fatto tutti i corsi fino all’ingresso in agonistica si chiamava ANV, acronimo di Associazione Nuoto Vicenza. Come materiale di supporto c’erano delle tavolette spesse e strette sulle quali campeggiava a tutta diagonale la scritta, quasi palindroma: se gli insegnanti avessero ecceduto nel farmi ripetere gli esercizi di gambe, con sostegni di questo genere, non sarei mai andata oltre il corso estivo.

E invece ho proseguito fino a contrarre questa malattia inguaribile che è il nuoto, che non riesco più a smettere di praticare.

di Elena Rigon

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GLI ESORDI 5
Elena Rigon
Le ho provate tutte (le discipline del nuoto dico) tranne il sincro: sono stata agonista, pallanuotista, ho praticato il salvamento quando in pochi sapevano cosa era il 200 a ostacoli in vasca. Irriducibile continuo da master, quelli che un tempo ritenevo dei simpatici vecchietti. Prediligo lo stile libero e gareggio su distanze corte; evito le acque libere perché temo di sbagliare rotta. Pescatrice di impressioni, scrivo per descrivere: la vita in corsia e fuori, con parole mie. Vivo tra le nebbie padane, ho due figlie. Per condividere i miei pensieri ho creato un piccolo blog "pensieri in patchwork" .

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