Arianna Talamona: nuotatrice, Campionessa, neo laureata, influencer e creatrice di progetti. Sono solo alcuni dei tanti lati di una ragazza forte e determinata, Campionessa del Mondo nei 50 delfino e 200 misti nella categoria S5 agli scorsi Campionati del Mondo di nuoto paralimpico a Londra. L’abbiamo raggiunta telefonicamente per farci raccontare qualcosa di lei e del mondo paralimpico. E se da un lato Arianna ha mille lati e mille progetti, il più grande si chiama Tokyo 2021, con un occhio anche verso Parigi…
Ciao Arianna! Beh, innanzitutto come stai? Come stai vivendo la situazione attuale?
Adesso meglio! Le prime due settimane di stop, in cui non si sapeva ancora niente di Tokyo, le ho vissute con un sacco di ansia: continuavo a fare i conti, tipo “se stiamo fermi 4 settimane, poi quanto tempo resta? Allora devo prepararle in 5 mesi, ma si può… “continuavo a farei conti la sera quando andavo a letto… Quando ho saputo del posticipo, invece, ero più serena!
Ovviamente mi scoccia, sarebbe una bugia dire il contrario: uno si fa dei piani, pensa a cosa farà nel post. Però era l’unica cosa possibile da fare e sapere che adesso, anche se stiamo fermi due mesi, abbiamo comunque tutto il tempo per ripartire mi fa stare serena.
E comunque, mi sono anche abituata alla nuova routine: per fortuna io ho un po’ di progetti con i social che sto portando avanti e mi permettono di fare cose da casa. Quindi, non mi annoio!
E’ bellissimo il tuo rapporto con i social: sei una ragazza super connessa, sempe in contatto con le persone che ti seguono. Ma, soprattutto, cerchi sempre di spiegare la tua disabilità anche attraverso dei video su YouTube. Qual’è il tuo rapporto con la tua disabilità?
La mia malattia si chiama “Sindrome di Strumpell – Lorraine” ed è un po’ particolare perché ereditaria (anche mia mamma la ha) e, quindi, l’ho avuta sin dalla nascita. Il vantaggio di avere una disabilità dalla nascita, se vogliamo chiamarlo così, è che hai più tempo per accettarla e capirla: ti sviluppi solo con quell’idea lì, non hai il ricordo di un “prima”. Il mio rapporto con la mia disabilità è cresciuto con me: elementari e medie sono state molto più difficili, non capivo ancora molte cose.
Crescendo, anche grazie al nuoto, ho accettato quello che sono a prescindere da tutto. Secondo me è un messaggio molto importante: alla fine tutto si rifà a come la persona che ha una disabilità, indipendentemente dal perché la abbia, accetta quella cosa e quello che decide di farne. Se tu, in generale nella vita, decidi di arrenderti, di non accettare una cosa che ti capita, di non contrastarla, non vai da nessuna parte. Se, invece, decidi di accettarla e di abbracciare tutte le sue caratteristiche, allora puoi ottenere tanto da quella cosa. Secondo me è fondamentale, è quello che fa la differenza. Lo Sport ci facilita tanto!
Sui social abbiamo visto il tuo progetto “Marimino”. Ci parli meglio di questo lavoro per chi non lo conosce…
Questo progetto è nato con un mio amico che si chiama Andrea Zatti: lui ha già una sua attività che si chiama “Kaki” in cui faceva questi mini cactus che puoi tenere d’appoggio sui mobili, oppure portarli al collo con delle collane. Parlando con lui ho proposto un gioiello aquatico: abbiamo trovato questa alga che, in origine, si chiama “Marimo” e siamo riusciti a trovare una specie molto piccola da poter mettere dentro a una sfera che diventa una collana. E’ stato il mio primo gioiello, nato come gioco ma è un vero e proprio progetto.
L’idea è di avere qualcosa che ricorda l’acqua e la cosa bella è che, comunque, è una pianta a tutti gli effetti: bisogna curarla, cambiarle l’acqua ed è preferibile tenerlo fuori dalla scatola di modo che possa prendere la luce del sole. E’ una piccola cosa, di cui prendersi cura: il valore delle piccole cose per me è importante. Alla fine, nella vita, si riduce tutti ai dettagli: nei gesti di una gara, nelle persone che si incontra per strada … sono le piccole cose che fanno la differenza e, invece, a volte vengono dimenticate.
Lo scorso 19 febbraio ti sei laureata in Psicologia. Come hai fatto tu conciliare lo studio con lo Sport ad alto livello? Che consiglio daresti ai tanti giovani che si affacciano allo Sport a livello Agonistico e lo studio?
Secondo me cambia un po’ da Liceo a Università. Sicuramente la prima cosa è l’organizzazione: non puoi pensare di fare le cose senza fare un minimo di planning, soprattutto all’università. In generale, per me quello che ha fatto la differenza soprattutto al liceo è stata la concentrazione. Quando ero a lezione stavo concentratissima, ovviamente divertendomi di meno. Bisogna fare dei sacrifici! In più, cercavo di prendere appunti fatti bene, di modo che metà del lavoro fosse già fatto e poi dovessi solo ripetere. Al liceo, inoltre, avevo tempi ridotti: tutto il pomeriggio se ne andava con gli allenamenti e avevo solamente un’ora prima e dopo cena. In quell’ora dovevo stare molto concentrata, non dovevo assolutamente distrarmi.
L’università, a livello organizzativo, l’ho trovata più facile, con tempistiche più lunghe. Anche lì mi sono sempre fatta dei planning per suddividere lo studio.
Devi essere consapevole che alcuni sacrifici vanno fatti e, se quello che stai facendo ti piace, quei sacrifici non ti pesano più di tanto. Non si può pensare di voler nuotare, uscire con gli amici, studiare… è complicato!
Parlando sempre di “ragazzi”, spesso sei invitata nelle scuole a raccontare la tua storia ai più giovani. Qual è la cosa che maggiormente cerchi di trasmettere ai ragazzi?
In genere, un po’ un concetto di normalità, far capire che la disabilità è una cosa che esiste ma non è straordinaria : io dico sempre che spero che, ora che mi hanno conosciuta, se gli capitasse di incontrare una persona disabile per strada o altro, spero sappiano cosa fare. Molto spesso è una questione che molti ragazzi non hanno mai conosciuto una persona disabile e quindi, semplicemente, non sanno come relazionarsi, cosa fare, e pensano che sia una cosa straordinaria. In realtà, è bello che capiscano che è una cosa molto diffusa ed è normale: io non posso camminare, devo usare una carrozzina, ma non c’è niente che mi renda diversa da voi!
La seconda cosa è sicuramente un concetto di Resilienza, l’idea che la vita non è sempre perfetta, può succedere qualcosa di brutto , qualcosa che non vuoi e che tu puoi sfruttare queste cose a tuo vantaggio e vedere sempre il bicchiere mezzo pieno.
Tokyo 2020 diventa Tokyo 2021: una decisione un po’ sofferta, sotto molti punti di vista, ma necessaria! Come influenza, sia a livello di preparazione fisica che a livello mentale, questa decisione?
Ormai siamo tutti più o meno sulla stessa barca: chi ha avuto il problema prima, probabilmente, ne uscirà prima. Bene o male, quindi, le tempistiche si livellano. A livello di preparazione io e la mia squadra abbiamo parlato con il nostro allenatore e siamo consapevoli che diventerà una stagione molto lunga. Questa cosa andrà gestita, magari con gare internazionali in più.
A livello mentale, dipende dalla situazione personale: io, ad esempio, dopo Tokyo avrei dovuto fare il tirocinio per poi fare l’Esame di Stato per l’Ordine da Psicologa e, purtroppo, devo rimandarlo di un anno (è un tirocinio da 1000 ore e non è fattibile farlo con la preparazione di Tokyo. Mi spiace ma non mi fa diventare matta, anche perché ho l’idea, per ora, di andare avanti fino a Parigi 2024. Invece, se prendi atleti che avevano già programmato una fine dopo Tokyo, e magari stavano già programmando qualcosa nel post-Tokyo proprio a livello di vita, secondo me è stata una batosta più importante.
La scorsa estate, a Londra, la Nazionale Italiana Paralimpica di Nuoto ha vinto il Medagliere del Mondiale. Tra le tantissime medaglie vinte, 5 sono tue: 2 ori (50 delfino e 200 misti) e 3 argenti (100-200 stile libero e 4×50 stile libero). Tra le tante medaglie, qual è quella più bella?
Londra, in generale, è stata un’esperienza fantastica perché è stato il mio “battesimo”: nuoto dal 2011 a livello internazionale e in questi anni ho vinto tante medaglie a livello europeo (ndr. Arianna ha vinto 9 medaglie europee: 2 ori, 1 argento e 6 bronzi tra 2011- 2014 – 2016 e 2018 ) però per problemi di classificazione non avevo mai avuto la possibilità di far vedere quanto valessi: io lo sapevo, gli allenamenti c’erano ma per una serie di motivi non ero nelle condizioni di esprimere questa cosa.
Per me è stato fantastico: dopo anni in cui credi in quella cosa, lavori senza arrenderti mai e poi finalmente arriva il momento in cui quella cosa lì diventa evidente e te la guadagni, è una grandissima soddisfazione. Le medaglie europee sono bellissime, ma mancava sempre un pezzettino.
Come medaglie, riesco a ridurle a 2: i 2 ori – che tra l’altro li ho presi lo stesso giorno, il 12 Settembre, e lo abbiamo soprannominato “Talamona Day”- sono stati fantastici, è arrivato il meglio del meglio. Il 50 delfino è stato particolare perché, se nei 200 misti sapevo di essere competitiva ed ero serena, nei 50 delfino era più difficile, è stata proprio una conquista!
L’altra gara che mi è piaciuta un sacco è stato il 100 stile, fatto l’ultimo giorno, in cui sono arrivata seconda. E’ stata una soddisfazione perché io faccio molta fatica a stile e non sono propriamente una velocista. Avevo due inglesi che erano molto forti ed erano le favorite. Mi ricordo quella finale, ero stanca morta. Quando ho toccato e ho visto che ero arrivata seconda, è stata una grandissima soddisfazione!
“Milano si merita una piscina olimpica” è il claim della petizione realizzata dalla Fin Lombardia a sostegno della realizzazione di una piscina olimpica a Milano. Essendo tu della zona come vedi – da un punto di vista paralimpico – la situazione piscine a Milano e, in generale, in Lombardia?
C’è da fare una differenza: in Lombardia piscine da 25 per squadre non professioniste ci sono. Il problema sono le vasche da 50: le più importanti sono due, Mecenate e il Saini, che comunque sono strutture vecchie. Senza contare che Mecenate non è accessibile per noi paralimpici.
Quali sono le necessità, a livello di infrastrutture, di cui avete bisogno?
In realtà non abbiamo particolari necessità: la prima questione è, ovviamente, che non ci siano barriere architettoniche e nel momento in cui la piscina è a sfioro, noi non abbiamo problemi.
Se mi devo immaginare altre cose, è una banalità ma ci devono essere phon un po’ più bassi e docce con un seggiolino per appoggiarsi (anche se qui basta una semplice sedia in plastica, noi siamo molto comodi anche con quelle).
Un atleta che hai come esempio e perchè?
A me è sempre piaciuta tanto Katinka Hosszu: è un’atleta che ha lavorato tanti anni prima che arrivasse il momento d’oro ed è un’atleta pazzesca. Fa tutti gli stili, ogni tanto vedi che la premiano con cuffia e occhialini perché deve andare subito a fare un’altre gara… è una grande lavoratrice e io il lavoro duro lo apprezzo tanto.
Ultima domanda: torna indietro con la mente e ripensa alla prima volta che sei entrata in piscina. Cosa diresti a quella bimba ora che sei una Campionessa?
Sicuramente le direi di credere un po’ di più in sé stessa perché è un lavoro che ho fatto per tanti anni e ci ho messo un bel po’ prima di essere serena con me stessa. Poi, forse, le direi di cominciare a fare le gare un po’ prima: un rimpianto che ho è quello di non aver cominciato a gareggiare prima perché sono stata un po’ testarda. Se avessi cominciato prima mi sarei divertita anche di più e sarei cresciuta prima.
L’altra cosa è quello che poi, alla fine, ho fatto: lavorare su me stessa e capire quello che poteva andare bene nel mio carattere, quello che invece andava smussato per crescere.
Ringraziamo di cuore Arianna Talamona per la sua disponibilità e per averci fatto “entrare” nel mondo paralimpico!
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Appassionato di nuoto?
Profilo Autore
- Laureata in Scienze Linguistiche, è entrata in piscina per la prima volta alla tenera età di 3 anni e da quel momento non se n'è più andata. Aspirante giornalista e intervistatrice per diletto, le piace parlare (dicono sia anche logorroica) e vivere di emozioni. Lo Sport è così importante che ha scelto un Master in Sport Digital Marketing & Communication.
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